Chi determina la musica che viene trasmessa nelle radio? Questa domanda solleva un argomento complesso, che coinvolge un insieme articolato di fattori e professionisti. Il processo di selezione dei brani è fondamentale per le emittenti, sia locali che nazionali, che devono attrarre ascoltatori e, di conseguenza, vendere spazi pubblicitari. La scelta dei pezzi musicali non è più una questione di preferenze personali dei DJ o degli speaker, ma è gestita da esperti che si dedicano alla programmazione in modo strategico e sistematico.
La selezione dei brani da trasmettere è influenzata da numerosi elementi. Innanzitutto, il format della radio è cruciale: emittenti che si rivolgono a un pubblico giovane tendono a scegliere canzoni di tendenza, mentre quelle che mirano a un ascoltatore più maturo privilegiano successi del passato. Anche l’orario di trasmissione gioca un ruolo significativo; ad esempio, la musica rilassante è più comune durante la notte, mentre durante il giorno si prediligono brani più energici e vari. Le decisioni di programmazione vengono spesso orientate dalle classifiche musicali fornite da piattaforme che monitorano quali canzoni vengono maggiormente trasmesse.
In molte emittenti, la selezione musicale avviene tramite metodi come l’Auditorium Test, un processo che coinvolge ascoltatori reali che esprimono il loro gradimento per specifici brani. Sebbene questo approccio possa risultare costoso e richiedere tempo, consente di raccogliere feedback diretti sulla musica. La programmazione musicale moderna si basa anche su avanzati software che permettono di pianificare ogni aspetto della trasmissione, creando veri e propri “clock” musicali. Questi strumenti stabiliscono la rotazione dei brani, classificandoli in “alte”, “medie” e “basse” rotazioni, a seconda della frequenza di trasmissione. Le canzoni più popolari si trovano nelle “alte rotazioni”, mentre quelle meno conosciute vengono trasmesse con minore frequenza.
Al Smith, un noto programmatore musicale che ha lavorato per diverse stazioni radiofoniche giovanili nel Regno Unito, ha dichiarato alla BBC che il segreto sta nel «comprendere cosa piace al pubblico di riferimento».
Le emittenti radiofoniche hanno la possibilità di promuovere nuovi brani, ma spesso si orientano verso la musica che rispecchia i gusti già consolidati del pubblico, in linea con le classifiche di successo. Le case discografiche, che in passato avevano un ruolo predominante nel decidere quali canzoni venissero trasmesse, oggi hanno un’influenza ridotta. Le etichette indipendenti e le piccole case discografiche non possono più finanziare le radio per promuovere i loro artisti, anche se possono tentare di influenzare la programmazione attraverso campagne promozionali.
Le radio devono adattarsi ai cambiamenti nei gusti musicali per evitare di perdere ascolti e, di conseguenza, introiti pubblicitari. Le piattaforme social hanno conferito maggiore potere ai fan, che ora possono influenzare la selezione musicale più di quanto avvenisse in passato. Un esempio è il brano If We Ever Broke Up di Mae Stephens, che ha dimostrato come anche artisti non sotto contratto con etichette discografiche possano entrare nelle playlist radiofoniche se il loro pezzo diventa virale.
Al Smith ha sottolineato che «le stazioni radio promuoveranno artisti non sotto contratto discografico se ci sono altri fattori che determinano il successo di quella canzone», evidenziando come la viralità su piattaforme web sia uno di questi fattori. Questo fenomeno è stato definito da Smith come la «democratizzazione della musica». Tuttavia, le scelte musicali non sono sempre accolte senza critiche, e le emittenti devono affrontare la sfida di soddisfare le aspettative di tutti i loro ascoltatori.