| | MARTEDÌ 10 OTTOBRE 2006 | ore 21.30 | THE KNIFE silent shout tour | euro 23 | | support band PLANNINGTOROCK The Knife sono Olof Dreijer e Karin Dreijer Andersson, un duo elettropop il cui nome,”Il Coltello”, sembra rimandare al legame di sangue che unisce i due fratelli. Dalla gelida e socialmente impegnata Svezia arriva uno dei gruppi più sorprendenti di questi primi anni del 2000. Insieme dal 1999, producono musica per l’etichetta Rabid Records, dal pop elettronico freak del loro esordio, ai successi house di “Deep Cuts”, alla loro terza creazione “Silent Shout”. Un album oscuro, nervoso, destabilizzante, particolare e allo stesso tempo divertente, frutto dell’isolamento nel quale amano vivere. Gli Knife non amano ripetersi e mostrato tutta la loro geniale follia, non solo nella loro musica, ma anche nei loro stravaganti travestimenti che fanno sembrare fratello e sorella fantasmi della tundra. Nel rituale gioco dei riferimenti, Karin, dopo aver pagato il debito a Bjork nel primo, omonimo, disco, a Cindy Lauper in “Deep Cuts”, stavolta lo paga a Kate Bush, ma è una Kate Bush replicante, cibernetica, filtrata. Karin ha quella voce tesa e stupenda che ha fatto il successo di “What Else Is There?” di Royksopp, ma in “Silent Shout” la si sente spesso deformata, plagiata (quando non grottescamente distorta come la controparte maschile: sentiremo mai la vera voce di Olof Drejer?), strozzata come un vero “grido silenzioso”: l’effetto è il panico afono di munchiana memoria, che si esprime rara violenza psichica in “The Captain”. Questa canzone funziona come una molla: accumula tensione nei primi, lunghi minuti di cigolii sintetici, che echeggiano nell’inquietante cattedrale spoliata (la Storkyrkan di Stoccolma) dove l’album è stato parzialmente registrato, tenendo l’ascoltatore in bilico solo per precipitare sulla tastiera con urgenza, ringhiando di basso. Ambiziosi anzichenò, i Knife, e la cosa è tanto più evidente quanto “Silent Shout” è pervaso da una struggente solennità , che rende i brani omogenei e corposi, ma soprattutto crea un’atmosfera corale, anzi corifea: strofe eschilee che davvero incarnano l’antico slancio tragico dell’individuo in estasi dionisiaca (coro, parti vocali) verso la visione sognata di un mondo apollineo che cerca l’eternità e l’assoluto (la stentorea e incalzante musica elettronica dei Knife). O forse, al di là delle speculazioni sulla nascita della tragedia, la banale verità è che questi signori tecnicamente fanno quello che vogliono: da “Neverland” a “We Share Our Mother’s Health”, passando per “One Hit”, non ce n’è una sbagliata. Il loro primo tour in assoluto si preannuncia più come esclusivissima performance audiovisiva che come concerto (cosa che in un gruppo elettropop non si vede certo tutti i giorni). | |